Il cinema in Italia arriva con qualche anno di ritardo rispetto alla data convenzionale del 28 dicembre 1895, giorno in cui a Parigi viene proiettata per la prima volta una serie di dieci film, tra cui, primo in ordine di apparizione, La Sortie de l’Usine Lumière. In Italia, il cinematografo Lumière si fa strada solo dieci anni più tardi, precisamente a partire dal 20 settembre 1905. Viene considerato come primo film italiano proiettato
pubblicamente La Presa di Roma, girato da Filoteo Alberini per commemorare la Presa di Porta Pia avvenuta 35 anni prima. In realtà, molti altri film (perlopiù vedute, film “dal vero”, film sperimentali, e altre riprese di carattere documentaristico) sono già stati realizzati precedentemente, sulla scia dell’entusiasmo e della voglia di perfezionare la tecnologia Lumière importata in Italia. La Presa di Roma ha però il primato di avere un proprio montaggio (seppur rudimentale) e di avere una narrativa compiuta con un inizio, uno svolgimento e una fine. Tra il 1905 e il 1909 si assiste alla nascita delle prime imprese di produzione, senza dimenticare che in quegli anni si contano centinaia di imprese aperte da nord a sud, isole comprese: alcune hanno maggior fortuna, durando nel tempo, altre chiudono i battenti addirittura, nei peggiori dei casi, nel giro di pochi giorni. Imprese degne di nota sono le torinesi Ambrosio Film, Pasquali Film e Itala Film, la romana Alberini & Santoni, che l’anno seguente diventa Cines, e la Milano Film. Il cinema italiano si afferma rapidamente a livello europeo e diventa il mezzo di intrattenimento per eccellenza sia per le classi abbienti che per quelle popolari. L’Italia, rappresentata da Cines e Ambrosio, partecipa al Primo Congresso Internazionale dei Cineasti del 1909, insieme a Pathé, Gaumont ed Éclair per la Francia, Vitagraph per gli Stati Uniti, Messter Film (Germania), Hepworth Pictures (Gran Bretagna), e Nordisk Film (Danimarca). In questa sede si formalizzano le normative europee per i metodi di distribuzione, metraggio, durata dei film e perforazione standard delle pellicole di ripresa.
A metà degli anni Dieci, l’industria si arricchisce della presenza sempre più massiccia di attori e attrici provenienti dal mondo del teatro o dello spettacolo di varietà. Si consolida quindi un sistema divistico, in cui i grandi nomi del momento conferiscono fama e visibilità alla casa di riferimento. Attrici (Lyda Borelli, Francesca Bertini, Pina Menichelli, Diana Karenne, Maria Jacobini, Leda Gys) e attori (Emilio Ghione, Bartolomeo Pagano, Mario Bonnard, Alberto Capozzi) portano la propria casa di produzione ad ottenere successo di pubblico e critica, molto spesso a causa della loro notorietà e vita mondana, piuttosto che per un’effettiva bravura davanti alla macchina da presa (con le dovute eccezioni). È quindi la personalità dell’attore a dare popolarità a un film, fungendo da mezzo promozionale per la casa di produzione.
L’Italia degli anni Dieci è il polo internazionale di riferimento e di qualità nel panorama cinematografico mondiale: basti pensare che un’enorme quantità di film vengono esportati in tutta Europa con un lento inserimento anche negli Stati Uniti. I generi più richiesti risultano essere i kolossal storici (Cabiria, Giovanni Pastrone, 1914 e Gli Ultimi Giorni di Pompei, Eleuterio Rodolfi, 1913) il filone letterario (L’Inferno, Giuseppe De Liguoro, Francesco Bertolini, Adolfo Padovan, 1911)), le comiche (le serie di Tontolini, Robinet e Cretinetti), i serial di matrice crime (i film, per la maggioranza perduti, con Za la Mort come protagonista), i cosiddetti diva-film (Ma l’Amor mio non Muore, Mario Caserini, 1913; Assunta Spina, Gustavo Serena, 1915) e i film di ispirazione avanguardista (Thaïs e Perfido Inganno, quest’ultimo perduto, di Anton Giulio Bragaglia, 1917).
Tuttavia, il sogno è destinato a durare poco, poiché il periodo d’oro del cinema muto italiano subisce una battuta d’arresto con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Col finire del conflitto, Giuseppe Barattolo e Alberto Fassini, rispettivamente alla guida di Caesar e Cines, creano l’Unione Cinematografica Italiana con il supporto di varie banche italiane. Questa operazione di salvataggio ha l’obiettivo di arginare la concorrenza con gli Stati Uniti (nel pieno del successo produttivo dei Roaring Twenties) e con la Germania, che sta rapidamente riorganizzando la propria industria con registi del calibro di Fritz Lang, F. W. Murnau, Ernst Lubitsch e Robert Wiene.
All’UCI aderiscono anche altre imprese italiane tra cui Ambrosio, Itala Film, Gloria Film e Ambra Film. Il progetto ha poco successo e agisce solo come ente distributivo e assai poco come consorzio di produzione: ancora debilitata dalle conseguenze della guerra, l’Italia si ritrova arretrata sia sul piano tecnico che creativo. L’UCI non può fare altro che dichiarare bancarotta poco dopo e solo il successivo intervento dell’imprenditore Stefano Pittaluga può salvare l’industria cinematografica italiana da un declino senza fine.
Prossimamente: L’Industria Cinematografica Italiana – Parte 2: dal Sonoro al Secondo Dopoguerra.
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